Il caffè dei papà (un primo sorso)

Di padri se ne parla, di tanto in tanto, o perché assenti, o perché soli e disperati, arrabbiati, separati, alla ricerca di un’identità. Se ne parla in diversi modi costruendo silhouette, abbozzi, schizzi di ritratto che spesso e volentieri naufragano nell’indefinito.

A differenza di quanto si dice delle madri e dei figli dal loro concepimento fino alla loro compiuta adolescenza e giovane adultità, i padri non godono dello stesso interesse e delle stesse immense fatiche investigative, descrittive e analitiche. Un universo sconosciuto, un sistema di galassie tutto da esplorare e interrogare verso possibili definizioni che aprano alla comprensione di una figura tutta da scoprire. 

Nelle infinite contraddizioni che caratterizzano tutti gli aspetti delle relazioni umane che si muovono nel contemporaneo, la paternità credo possa rappresentare un terreno di riflessione in grado di rivelare interessanti elementi per comprendere il nostro tempo. 

Ma partiamo dall’inizio o meglio da quello che potrebbe essere l’inizio del nostro viaggio. Si è soliti pensare e dire che il ruolo del padre sia quello del mettere un limite, di indicare quello che è possibile e quello che non lo è; di mostrare come nella vita non tutto è possibile e non tutto si può fare. 

L’idea è tanto diffusa da sembrare banale, ma sotto questa banalità vogliamo trovare elementi utili per dare abbrivio al nostro discorso. 

Forse alla base di questo pensiero ci sta la convinzione di un maschio che debba essere guida, che possieda un Sapere tale da poter stabilire autonomamente quale sia l’impossibile dell’umano e il possibile in un’esistenza che, tra l’altro, è tutta da ri-vedere e da ri-decifrare. 

In un contesto storico nel quale è davvero difficile stabilire quali siano le estremità, i confini del possibile, il senso complesso dell’esperienza e nel quale l’incertezza risulta l’humus stesso dell’esistere, è davvero difficile immaginare che qualcuno possa definire i limiti sui quali poi andrà a ridefinirsi il desiderio. 

Per dirla altrimenti; come è possibile che dentro l’incertezza che caratterizza il contemporaneo e che tutti disorienta, non ci si ponga la questione profondamente educativa della ridefinizione della figura paterna e del ruolo desueto del tracciatore di confini e limiti? 

L’insistenza sul ruolo paterno, così come delineata, non nasconde l’incapacità di gettarsi in una necessaria riflessione e rilettura di un modello maschile che ancora non ha saputo mettersi in discussione cercando di sganciarsi dall’àncora degli stereotipi che nei secoli si sono fossilizzati nei discorsi, nei pensieri e nelle stesse immaginazioni culturali? 

In un’epoca nella quale le donne e le madri hanno aumentato drasticamente le proprie funzioni e i propri ruoli, si sono assunte quasi completamente l’onere educativo insieme a quello di cura della casa e della gestione della famiglia e hanno implementato sempre più anche la propria capacità di produrre reddito, i padri si ritrovano quasi svuotati dai loro ruoli anche più tradizionali, alla ricerca di nuove e possibili identità. 

Il problema non è semplicemente quello di imparare a cambiare un pannolino, andare al parco giochi coi figli, cucinare un sano e buon pasto per la famiglia; si tratta piuttosto di cominciare a immaginarsi dentro nuove narrazioni, al centro di un cambiamento che ci possa proiettare in un mondo che non è più quello che i maschi hanno disegnato per millenni. Una narrazione che deve essere condivisa e che deve saper incontrare l’Altro perché nelle sue punteggiature deve prevedere silenzi che costruiscono accoglienza e ascolto delle voci che arrivano da altre narrazioni possibili. 

Un modello di narrazione che non volge alla definizione di verità assolute ma che, invece, traccia mondi nei quali ci può essere spazio per immaginari diversi, per esperienze nuove che costituiscano altri possibili uomini e padri che possano aprire ad altre possibilità sociali, relazionali, funzionali ed espressive. 

Si tratta di ripercorrere con grande attenzione e impegno la via di una riflessione su questioni che vanno dalla scelta della paternità, all’accoglienza dei figli nel momento stesso in cui vedono la luce, dall’assunzione del ruolo educativo all’elaborazione della propria storia familiare, dalla frustrazione insita nel ruolo paterno tradizionalmente inteso, alla possibilità di una creatività relazionale in grado di rispondere alle nuove istanze emergenti nella contemporaneità. 

Occuparsi del padre significa toccare quel progetto in divenire che comunemente chiamiamo genitorialità e che spesso definiamo in maniera schematica e meccanica. La tendenza a pensare alla genitorialità come all’intreccio di ruoli e compiti (dati come biologicamente definiti) non fa nient’altro che irrigidire questa combinazione in disegni schematici che ci intrappolano in uno stagno deterministico. 

La genitorialità è, invece, una strada ed una storia di formazione, una storia che ha diversi protagonisti. 

Nella genitorialità si tracciano percorsi formativi e intrecci di Saperi complessi che chiamano in causa molti aspetti dell’esperienza e della storia di ognuno; saper mettere in gioco la propria storia, non solo familiare, ma anche culturale e di genere, diventa oggi indispensabile per poter immaginare una genitorialità diversa e più rispondente alle necessità di quest’epoca che ci interroga e ci provoca proprio su quelle dimensioni che per troppo tempo sono risultate intoccabili se non sacre. 

Da qui partiamo per gustarci un buon caffè settimanale che vuole essere l’invito ad uno scambio e ad un confronto sui grandi e i piccoli temi della paternità. 

Michele Stasi

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